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Hatha yoga non solo tecnica

 Hatha Yoga solo tecnica?

Lo Hathapradipika  (La luce dell’hatha yoga) di Svatmarama Swami è tra le opere riguardanti  lo Hatha-yoga Sadhana, quella che innumerevoli generazioni di yogi hanno considerato, più di ogni altra come un sussidio indispensabile. Questo testo risale tra il II o I sec. A.C.

L’opera scritta assolve alla funzione di mantenimento della tradizione originale. Il merito di Svatmarama è di avere sistematizzato una disciplina certamente preesistente e di averla resa accessibile sia allo studioso sia a chi intende praticarla. Lo hatapradipikaadotta come base della liberazione (Moksa)  il corpo fisico e il corpo energetico, strettamente interconnessi in un’unica struttura esistenziale. I due corpi sono interdipendenti, questo comporta che quanto accade all’uno trova immediato riflesso nell’altro. Agendo sul corpo fisico si producono effetti sul corpo energetico, così come le modificazioni del corpo energetico modificano il corpo fisico.
Svatmarama offre nella sua opera la descrizione di un insieme di esercizi fisici la cui finalità è la liberazione. La liberazione dal dolore è quello che ogni essere umano desidera maggiormente.                                                                                                                                                                                                            L’autore pur incentrando la pratica sul corpo fisico, ritiene che Hatha yoga e Raja yoga siano complementari e interdipendenti come lo sono il corpo e la mente (H.P. II,76).

La parola sanscrita Hatha significa l’unione (yoga) delle due correnti alternanti in un unico flusso di energia. Ha (sole) e Tha (luna) rappresentano i due canali ida e pingala al cui interno l’energia scorre alternativamente, si uniscono spingendo l’energia (kundalini) nel canale centrale (Susumna).

Svatmarama considera hatha-yoga e Raja-yoga due aspetti di un’unica disciplina, lo yoga, a cui maestri posteriori a Svatmaramahanno dato semplicemente il nome di hatha-yoga.
Il praticante, che si incammina sulla via dello yoga, compie con il corpo fisico esercizi che sembrano non possedere immediatamente una controparte mentale e spirituale. Se la pratica è costante e prolungata nel tempo, emerge la consapevolezza di quella dimensione mentale e spirituale che è propria dello yoga. Svatmarama prospetta hatha-yoga e Raja-yoga come due aspetti di un’unica disciplina che chiamiamo yoga, che dovrebbero essere praticate congiuntamente sempre per un pieno successo. Difatti, all’inizio (I,1 e 2) e alla fine (IV, 103) si afferma che lo hatha-yoga è stato insegnato e praticato avendo come fine ultimo il Raja-yoga.

L’aspetto esperienziale è il requisito base dello hatha yoga. Il corpo è il primo oggetto necessario per poter sperimentare la nostra esistenza.

In sanscrito ”Shariram adyam khalu dharma”

Sharira – corpo,  adyam – primo,  khalu – tutto  e   dharma – entità che sostiene la vita.

Un concetto molto importante nello hathapradhipika è quello legato alla purificazione del corpo: Ghata Shuddhi – la pulizia del complesso psico-fisico

Le pratiche inerenti la cosiddetta pulizia dell’intero corpo considerato come “un’auto da lavare dalla carrozzeria al motore”

  1. Deha Shuddhi  per la pulizia della struttura
  2. Nadi Shuddhi per la pulizia dei canali energetici
  3. Prana shuddhi per la correzione del funzionamento dell’energia vitale.

Tenere in ordine il veicolo è interesse del proprietario della macchina che la guida. Per il buon funzionamento del corpo un ruolo importante lo hanno anche mudra e bandha e quando grazie alle pratiche di asana, pranayama, mudra e bandha tutto funziona per il meglio, lo stato di benessere interiore diviene cosa reale.

La base dello Hatha Yoga è Shuddhi, ovvero, la purificazione del corpo in superfice ed in profondità. Lo strumento basilare dello hatha yoga è Asana, quindi è fondamentale conoscere cosa realmente significa la parola Asana tanto usata e abusata.

Nello Yoga, quando facciamo qualcosa che riguarda noi stessi, all’interno, si parla di Asana o Postura , non svolgiamo un’attività esterna, attraverso l’uso delle braccia e delle gambe ma, prendiamo quella postura per poter dare il via alle “percezioni interiori”.

“Asana” dalla radice “Asa”, significa “dove io sono connesso”, per attendere la risposta, Asana viene prescritto debba essere una postura stabile e comoda; è il terzo aspetto dello Yoga, secondo lo schema di Patanjali (il primo è Yama e il secondo è Niyama). Letteralmente significa: Dove io sono  ed  In che stato sono.

Quando non abbiamo intenzione di eseguire nessuna azione, assumiamo un assetto posturale che ci permette di essere noi stessi. Il concetto di Asana si lega a quello di postura che è completamente differente dal concetto di esercizio fisico. Mantenere una postura è la via che ci permette di analizzarci e di rimuovere da noi stessi quello che ci disturba e che non ci permette di rimanere in equilibrio.
La differenza tra i termini: posa, posizione e postura può essere che posa e posizione, generalmente non sono adatte ad essere tenute a lungo. La postura o Asana invece, può essere mantenuta a lungo; nei Testi si parla di “quarantacinque minuti”, fino ad arrivare anche a “tre ore”. Più a lungo è tenuta la “postura”, maggiori saranno i suoi benefici.

La giusta postura è quella che ci comunica che siamo in grado di arrivare con il movimento respiratorio in una determinata area del corpo che necessita del nostro intervento.

Così recita lo Hathapradiphika: H.P. 1°-17: “Sthairyamarogyam Cangalaghavam” 

“Asana è un fattore che contribuisce a raggiungere la stabilità, la salute e la leggerezza del corpo”

Il risultato dello stato di “Asana”, nel momento in cui lo trascendiamo, è quello di poter entrare nella consapevolezza del respiro.

A tal proposito Patanjali afferma:

Y.S. II-49: “Tasmin – sati svasa – prasvasa – yor – gati – vicchedah pranayamah” 

“Si può procedere solo se si ha la capacità di fare l’esperienza di “Svasa” e “Prasvasa”.  Dove “Svasa” è l’esperienza consapevole dei movimenti del corpo che conseguono all’inspirazione. E “Prasvasa” è l’esperienza consapevole dei movimenti del corpo che conseguono all’espirazione. Quindi è fondamentale sapere “come” la mente si deve muovere verso l’interno, durante una particolare Asana.

Durante un esercizio fisico, la mente è concentrata su qualcosa che avviene all’esterno, mentre in Asana, la “mente” si dovrebbe muovere “verso l’interno”.

Concludendo possiamo dedurre che:

Durante la pratica di esercizi fisici dinamici: “la mente parla al corpo”

Durante la pratica di posture yoga: “ il corpo parla alla mente”

 

BUONA PRATICA

Arjun Yogi

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